PORTE APERTE “AFGHANISTAN: UN ULTERIORE PASSO INDIETRO PER LE DONNE”
NELLA FOTO: Donna velata a Kabul
I talebani hanno impedito alle ragazze di frequentare la scuola superiore, facendo dietrofront solo poche ore dopo averne permesso loro l’accesso.
La libertà per le ragazze di intraprendere gli studi, infatti, era stata promessa dal gruppo fondamentalista islamico il 21 marzo scorso, un impegno apprezzato dalla comunità internazionale come segno di apertura e progresso.
Poi, il 23 marzo, a poche ore dall’apertura ufficiale, il ministero dell’istruzione ha ribaltato la sua decisione: le scuole secondarie per le ragazze afgane non sono accessibili.
“Questo non è affatto sorprendente”, afferma Nasri*, una nostra partner locale impegnata in prima linea nel fornire aiuti alla popolazione afghana in fuga. “Indipendentemente dal fatto che le scuole siano rese accessibili o meno alle donne, l’ideologia talebana mira a renderle impotenti. La condanna a morte di qualsiasi donna abbia una carriera professionale è attuata dal primo giorno in cui i talebani sono saliti al potere e il programma di studi offerto è volto a far loro il lavaggio del cervello, per tenerle nascoste, paralizzarle e rallentare la loro crescita. Dare a una donna la possibilità di uscire di casa per raggiungere la scuola, anche se accompagnata dal fratello e coperta da un burqa, aprirebbe uno spiraglio verso un’emancipazione che i talebani non vogliono e che cercano in tutti i modi di prevenire”.
Le donne afgane sono quindi a un punto morto, costrette a fare i conti con le ripristinate politiche anti-donna dei talebani e con la segregazione: a loro è vietato apparire in pubblico senza essere accompagnate da un uomo.
“Le donne sono confuse, arrabbiate, deluse e spaventate, sia nel Paese sia fuori da esso”, continua Nasri. “Quelle rimaste devono affrontare le restrizioni imposte, quelle fuggite vivono come rifugiate e hanno messo la loro vita in attesa”.
“Ho recentemente incontrato una madre la cui figlia poteva liberamente andare a scuola in Afghanistan”, ha detto Desiree*, che lavora con i rifugiati afghani in uno dei Paesi confinanti, “ma ora, come rifugiata, non le è più permesso studiare. Non ha né i documenti né i requisiti richiesti dal Paese straniero in cui si trova. È quindi costretta a rimanere a casa senza sapere cosa accadrà”.
“Anche se il futuro per i cristiani – specialmente per le donne – ha prospettive tetre, loro rimangono speranzosi”. È così che ha concluso Nasri, ricordando ciò che Farah*, una credente afghana, le ha detto una volta: “I tempi sono molto difficili e mi manca mio marito che non vedo da tempo. Cerchiamo di parlare il più spesso possibile in modo sicuro. A volte mi sveglio con la paura che sia morto. Sono quelli i momenti in cui devo decidere se vivrò il resto della vita come una vedova rassegnata o come una fedele figlia di Dio”.
L’Afghanistan è attualmente il Paese più pericoloso al mondo in cui vivere come cristiani, si trova infatti alla posizione #1 della nostra World Watch List 2022.